Graditi ritorni

Come da tradizione, dicembre porta con sé il solito addensarsi di classifiche di fine anno e riflessioni sullo stato della settima arte e dell’industria che le gira attorno. Ora, volendo restringere il campo di esame ai soli film made in Italy nel 2019, a nostro parere ce n’è uno meritevole di attenzione più di altri: Il Signor Diavolo di Pupi Avati, uno dei ritorni più attesi della stagione.

Pupi Avati, un regista di genere che non conosce genere

Un nome come Avati non ha bisogno di presentazioni, almeno presso la platea di cinefili incalliti. Il suo debutto da regista è avvenuto a trent’anni, nel 1968, con “Balsamus, l’uomo di Satana” e in oltre 50 anni di carriera ha abbracciato i generi e le tematiche più disparati. Toni grotteschi, rievocazioni nostalgiche, lettere d’amore per il jazz e commedie agrodolci sullo sfondo di una partita di poker trovano ugualmente spazio nell’opera di questo artista nato a Bologna. Eppure il consenso di gran parte della critica è che nel fantastico Avati ha messo a segno i colpi migliori. Pensando a un classico insuperato come “La Casa delle Finestre che Ridono” (1976), un horror rurale capace di estrarre gli incubi più turpi da un paesino isolato della Bassa Padana, non possiamo che trovarci d’accordo.

Il Signor Diavolo

Tornando all’ultima fatica di Avati, diciamo subito che Il Signor Diavolo si basa su un romanzo gotico scritto dallo stesso regista e ambientato nel Veneto del 1952. Lo spettatore segue del funzionario Fulvio Momentè, chiamato a occuparsi del caso di un 14enne che ha ucciso un coetaneo nella convinzione di “aver soppresso il diavolo”. Avati riprende quindi il discorso della sua produzione più cupa, insistendo su superstizione contadina, scene macabre e, ultimo ma non ultimo, il rapporto ambiguo tra Stato e Chiesa nell’Italia del Dopoguerra.

Difficile trovare Pupi Avati all’opera su un terreno più congeniale. Basterà una rapida occhiata al trailer del film qui sotto per rendersene conto: il Maestro è tornato.

3 Mar 2021